È possibile non associare, oggi, la politica al marketing? Domanda retorica, ovviamente.
Fatti e poi parole. Questo il segreto. Ecco, soffermiamoci sulle parole. Ogni personaggio politico ha bisogno di diffondere il proprio operato e le proprie idee. Per farlo vi è bisogno di strategia, analisi, ricerca e poi di comunicazione. Perché è abbastanza chiaro che risulta abbastanza focale il come si comunichi con i miei elettori o ipotetici.
Ora, però, viene il bello: siamo nell’epoca in cui i Social Media controllano le nostre vite. E non il contrario. Penso che questo, con un po’ di coscienza ed oggettività, sia abbastanza realistica come affermazione.
Infatti, uno scroll veloce al social di turno, una letturina al volo dell’articolo sui temi scottanti del momento tra un succo d’arancia ed una tintarella sul bagnasciuga ed ecco che è pronta la “social opinione”: una sorta di figura mitologica con la quale gli effetti dalla imbarazzante patologia del momento, la pubblichite, convivono. Ormai da un po’ di tempo. Il metodo, tout court, è davvero più semplice di quanto immaginiate. Non si conosce, affatto, l’oggetto di discussione, non se ne è mai sentito parlare, ma basta una googlata celere – nel migliore dei casi – ed il risultato è ben che pronto: fiumi di parole vuote condite da brulle riflessioni ed il festival del decadimento ha inizio. Insomma, “…l’importante è che se ne parli”. Chissà se Wilde avrebbe apprezzato. Forse no. Se volessimo trovare dei colpevoli di tutto ciò, se volessimo vestire i panni dei vigilantes con i fucili delle responsabilità puntati, in modo più che semplicistico potremmo trovare alcune risposte. A primeggiare su tutte c’è il fatto che il mondo è cambiato, la comunicazione è sul podio, indossa la medaglia d’oro, e la narrazione dei fatti è obbligatoria, a mo’ di dazio.
Vi starete chiedendo cosa c’entra tutto ciò con la politica, domanda sensata. Il più delle volte i temi di cui sopra sono squisitamente politici, che hanno a che vedere con le storie, le vite e le sofferenze delle persone. Ergo, possiamo ogni giorno assistere alle opinioni di avventori, professionisti del commento a tutti i costi ed esperti del Tweet disquisire beatamente. Lungi da me il voler inibire la libertà di espressione, anzi. Il vero punto è che molte volte i soggetti interessati sono, per l’appunto, filosofi della politica, guru delle preferenze e similar millantatori. Coloro che dovrebbero, anche, trovare soluzioni. Ma si sa, meglio apparire che essere, meglio dire che fare. Che si apra il sipario della degenerazione.
A perderci in tutto ciò è la politica, che passa, quindi, in secondo piano. Per essere benevoli. O, forse, rimane sullo sfondo di un gran selfie. Pare che la si stia mettendo all’angolo per dar spazio ad altro: l’involuzione che prende forma nella politica dell’apparire. Oppure, con franchezza – aggiungerei – la politica per apparire.
Ci sia la politica e la comunicazione politica, non solo la comunicazione fine a sé stessa, quella inutile quanto dannosa.
Non a caso un po’ di tempo fa, un vecchio saggio, Engels, diceva: “Ogni giorno esistono centinaia di esseri umani che, abbindolati dai mezzi di comunicazione, darebbero persino la vita per gli stessi uomini che li sfruttano da generazioni. Io dico: è giusto così. Che questi cagnolini fedeli privi di alcun senso critico, braccio inconsapevole della classe dominante siano in prima fila nella crociata contro l’evoluzione dell’uomo!”
Sto analizzando un fenomeno da circa 12 mesi esatti con estrema minuziosità e posso essere certo che vi sia una precisa strategia da chi oggi detiene lo scettro istituzionale nel nostro caro Belpaese, stessa strategia grazie alla quale – in parte, tutto ciò è possibile; grazie alla quale oggi sono lì. Analisi delle sconfitte altrui a parte.
Ecco lo schema, semplice, banale ma vincente:
- Lancio di un messaggio forte, fortissimo che faccia leva sulla paura, sul terrore, sulla rabbia, sulla disperazione delle masse;
- Fase di apprendimento da parte dei destinatari;
- Fase di apprezzamento;
- Fase di divulgazione e diffusione emotiva (vero fattore differenziante)
Ora arriva il bello…(continua) grazie a due possibili scenari:
- Se si viene smentiti subito per il messaggio sbagliato inviato allora si fa retromarcia con morigeratezza, grazie anche alle numerose laure conseguite in “arrampicamento”
- Se non c’è un grosso polverone di smentita ed opposizione la memoria corta di tutto noi farà il suo gioco.
Insomma, se non è marketing questo, cosa lo è?!
Vi è solo un problema: ci si è mai chiesti dell’importanza istituzionale del ruolo ricoperto? Ci si è mai chiesti la differenza tra leader politico e rappresentante delle istituzioni? Ecco, se si riuscisse a concentrarsi su questo punto forse vi sarebbero meno dilettanti della politica che vivono di tweet e “ma chi c’era prima cosa ha fatto?”
Infine, poi chioso, è interessante una pubblicazione da parte di Twitter dal nome “Government and Elections Handbook” datata 2014 che forniva utili consigli agli staff politici per comunicare. Di questo quello che davvero trovo da analizzare è il passaggio d’attenzione dallo storytelling allo storylistening. Insomma, ascoltare per poi raccontare. Farsi raccontare storie per poi esprimere propria idea, a partire da un fatto accaduto, da una storia di una persona comune.