È inutile girarci intorno, far finta che non sia così, indorare la pillola, e provare a dire che è solo un caso, che la prossima volta non capiterà, perché non è così, succederà ancora e ancora: i social media, ormai, arrivano alle notizie, e le distribuiscono, molto prima che diventino ufficiali.
Qualche volta è il post stesso (o il video) la notizia, perché poi, di concreto, non ci sarà mai nulla.
Questo stato delle cose, di per sé, e in alcuni ambiti, non è un problema, faccio un esempio stupido per capirci: se un gruppo musicale annuncia il suo prossimo tour prima che questo sia stato organizzato, al più, se alcune date o tutto l’iter non si concretizza, comunicativamente parlando basterà inventarsi una scusa plausibile, e dal punto organizzativo, fatto salvo qualche fan più accanito, nessuno ci farà caso.
Ma cosa succede se la fuga di notizie e gli annunci coinvolgono la politica e la “cosa pubblica”?
Qui, a mio avviso, il problema si complica, e diventa un tragedia sociale durante una pandemia. A marzo, all’aggravarsi della situazione dei contagi da Covid-19, un esempio lo avevamo già avuto, parlo del primo lockdown quando, attraverso una fuga di notizie, l’Italia scoprì della prima chiusura, prima che il DPCM di Giuseppe Conte fosse presentato, pubblicato, e divenisse, infine, efficace. Non conoscendone le regole in moltissimi provarono a tornare velocemente a casa, altri si fiondarono nei supermercati accaparrandosi generi alimentari d’ogni tipo.
Fortunatamente il fenomeno fu piuttosto contenuto, molto più di quanto, nei primi giorni, fu descritto dai giornali. Ma i supermarket non chiusero mai, i generi alimentari e i beni di prima necessità rimasero sempre disponibili, così come fu sempre possibile prendere un treno per tornare a casa. L’emotività iniziale sarebbe stata maggiormente gestita e contenuta in presenza di un testo ufficiale, le fughe in avanti di molti avrebbero evitato qualche contagio, il Governo Centrale e le Regioni avrebbero avuto più tempo per organizzarsi e comunicare tra loro (forse).
Col passare dei mesi, però, anziché imparare da quell’episodio, l’anticipazione mediatica di un’ordinanza, un dpcm, o una legge, è divenuta la prassi.
Mi direte, è sempre stato così, delle leggi si è sempre parlato prima, per approvarle, digerirle, modificarle. E, sì, in parte avete ragione, ma non quando si tratta di “leggi speciali” che di fatti modificano immediatamente e sostanzialmente la vita dei cittadini, parlo infatti di chiusure di attività, limitazioni di spostamenti, autocertificazioni, ecc…
Per cui, veniamo agli ultimi giorni, col montare della seconda ondata della pandemia da Coronavirus, l’Italia è stata divisa in zone (gialle, arancioni e rosse) dal Ministero della Salute. A seconda della gravità della situazione epidemiologica, e seguendo ben 21 parametri a evidenza scientifica, tutte le Regioni sono state classificate. Questa classificazione, tuttavia, nelle ultime settimane ha subito delle modifiche, e in particolare, la Regione Campania, classificata come gialla (bassa intensità epidemiologica) inizialmente, con l’Ordinanza del Ministro della Salute del 13 Novembre 2020 è divenuta rossa.
Al di là del dato sociale e sanitario, terrificante, il problema è che l’annuncio è avvenuto tramite post Facebook del Ministro Roberto Speranza: “Ho appena firmato un’ordinanza che istituisce due nuove aree rosse (Campania e Toscana) e tre nuove aree arancioni (Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia, Marche). So che stiamo chiedendo ancora sacrifici, ma non c’è altra strada se vogliamo ridurre il numero dei decessi, limitare il contagio ed evitare una pressione insopportabile sulle nostre reti sanitarie. Ce la faremo. Ma è indispensabile il contributo di tutti”. L’ordinanza è poi comparsa il giorno dopo, il 14 novembre sul sito del Ministero.
Cosa significa?
Che finché l’ordinanza non è stata pubblicata qualcosa poteva ancora cambiare, già una volta su tutta la stampa nazionale si era paventata la “Campania rossa” e poi era stato tutto smentito dall’ufficialità del Ministero, parlo giusto di qualche settimana fa. Si trattava di fatto di una fake news che però era talmente circolata che commercianti, imprenditori e cittadini si stavano già adattando con chiusure e… proteste.
La situazione si complica se pensate che appena qualche ora prima del post del Ministro Speranza, il sindaco Luigi De Magistris, contrario alle chiusure, aveva annunciato di essersi convinto e di aver firmato un’ordinanza, che però, a suo dire, non aveva più senso, sentito il Ministro della Salute. Di quell’ordinanza non vi è alcuna traccia, delle folle, nelle strade del centro della città, e delle manifestazioni contro la zona rossa invece sì.
L’ultimo attore della vicenda, ma non meno importante, è il Presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, che tra mille difficoltà strutturali ha da subito provato a gestire la situazione imponendo spessissimo ordinanze e chiusure più severe di quelle nazionali. Mi è capitato di leggere dell’ordinanza 90 su alcune testate, ed effettivamente, ci sono alcuni nodi da sciogliere (per cui tutti la stiamo aspettando): secondo precedenti ordinanze, e al contrario del resto delle aree rosse, le scuole dell’infanzia in Campania fino al 14 novembre sono chiuse, ora che la Campania è rossa, e con l’aggravamento della situazione epidemiologica, con conseguente presa d’atto del Ministero, cosa succederà?
È probabile che mentre mi state leggendo qualcosa sia già cambiando, ma la sostanza non cambia, i social media hanno anticipato i fatti, e nel concreto hanno allertato i cittadini e modificato le loro abitudini prima che la legge intervenisse sul serio.
La comunicazione politica e istituzionale può sostituire le fonti?
È questa la domanda finale a cui rispondere, i social media possono diventare essi stessi fonte del diritto? Mi auguro di no, perché vedete, il caos che ne deriva è davvero tanto, e lascia aperte tante, troppe variabili, che uno Stato, durante una guerra, perché questa crisi sanitaria lo è a tutti gli effetti, non può permettersi.
Lasciare ai social media questo potere rende impossibile riconoscere la realtà dalle fake news, destabilizza e rende non programmabile la vita dei singoli individui, ma anche dalla collettività e direi, complica prima di tutto i rapporti tra Istituzioni e Istituzioni.
Per cui, se potessi proporre qualcosa, ed essere ascoltata sul serio, almeno chiederei questo, ristabiliamo l’ordine e la funzione della comunicazione e delle fonti.
Comunicare bene sui social media, saperli adoperare, è ormai indispensabile per politica, istituzioni e pubblica amministrazione, i social servono per rendere immediate e semplici leggi e schemi normativi altrimenti scarsamente fruibili, ma mai possono e devono sostituirli.