Intervista al professore Andrea Baravelli dell’Università degli Studi di Ferrara su un tema a noi tanto caro: l’influenza dei media – in politica – sull’opinione pubblica.
Rispetto al tema dei fenomeni della comunicazione di massa e della grande influenza che i nuovi media hanno sulla società, quanto pensa che questi siano stati parte del successo del Movimento 5 Stelle, di Salvini e di Giorgia Meloni?
Credo che i social media abbiano avuto una parte importante nel consolidare il successo di partiti come quelli accennati; importante ma non decisivo. Mi spiego meglio: da una parte si tratta di partiti che affondano le loro radici in una storia e in una tradizione politica pre-esistente. Questo vale certamente per Fratelli d’Italia, erede della destra (MSI e AN, neofascista e poi reazionario-nazionalista), come pure vale per la Lega (il più vecchio partito in circolazione, che ha ereditato nel Nord il personale e le strutture della Democrazia cristiana; e che possiede ormai oltre 40 anni di radicamento territoriale e di posizionamento ideologico). Ma vale in fondo pure per il M5S, che intercetta una vasta area populista e qualunquista, agli albori della Repubblica incarnata nel Qualunquismo di Giannini, per molti decenni poi di casa – scomoda, spesso lasciata per una elezione e poi recuperata – nella DC. Il fragore del vaffanculo grillino, l’enfasi posta sulla modernità tecnologica come elemento in grado di sostituire la mediazione delle democrazia rappresentativa, ci hanno fatto dimenticare che anche prima del Vaffaday di Bologna esisteva una vasta area politica non rappresentata, per l’appunto identificabile nel rifiuto populistico della mediazione partitica. Dopodiché non nego l’importanza dei social media, che a mio parere però non contano in quanto strumenti in grado di orientare le scelte degli elettori, quanto come mezzi per dettare l’agenda del discorso politico e come strumenti per rafforzare il senso di identità di un campo politico. In altre parole: l’abilità sui social media di Meloni, Salvini e Grillo è importante soprattutto perché, imponendo al dibattito pubblico i temi che sono propri di questi leader, e su cui è per loro più facile esprimere opinioni coerenti e convincenti, contribuisce a consolidare il consenso interno all’elettorato di riferimento.
Secondo lei, i social media hanno cambiato il modo di intendere la comunicazione politica? Se sì, in che misura?
I social media sono oggi imprescindibili, anche se non penso li si possano ancora definire gli strumenti decisivi ai fini successo politico. Credo cioè che siano cruciali rispetto all’obiettivo di imporre una particolare agenda politica all’interno del dibattito politico; tuttavia, per ottenere un consenso stabile si deve ancora ricorrere allo strumento televisivo e all’opera di sedimentazione degli argomenti che esso è in grado di realizzare.
Quanto, in chiave mediatica, la multicanalità ed il rapporto online/offline pensa possa incidere sul successo di una campagna elettorale?
Le campagne elettorali moderne, per essere efficaci, devono essere integrate e multicanale. Una buona campagna elettorale deve conoscere i pregi e i difetti di ogni medium; allo stesso modo, deve sapere sfruttare le risorse più diverse per realizzare una copertura ottimale, nel tempo e nello spazio, del prodotto comunicato.
In un periodo drammatico e drammaticamente saturo di informazioni, spesso eterogenee, sulla grave crisi sanitaria che stiamo vivendo, pensa che le piattaforme debbano avere un ruolo attivo nel combattere notizie non verificate?
Credo che soprattutto ora, alle prese con un dramma di carattere globale, generalizzato e in grado di trasformare stabilmente, in peggio, l’orizzonte del nostro vivere, alle piattaforme tocchi uno scatto di responsabilità. Non possono trincerarsi dietro alla condizione di imprese commerciali, perché la pandemia ha già dimostrato quanto sia fragile il sistema di relazioni – economiche e umane – che conosciamo; la pandemia ha dimostrato che senza la salute non esiste economia, e con essa profitto. Mi sembra che sia anche interesse delle piattaforme, anche solo per ragioni strategiche, evitare di dare fiato alle voci, seppur autorevoli dal punto di vista politico, di chi si ostina a negare e a minimizzare i rischi.
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